Pensioni 2018: Quota 100 con 36 anni di contributi? Alcune categorie verrebbero danneggiate

Pensioni 2018: il nuovo Governo Lega-M5S, guidato dal Primo Ministro Giuseppe Conte, sta lavorando alla riforma pensionistica nel tentativo di superare la legge Fornero con il minor danno possibile. Sono in molti, ovviamente, a essere scettici e a ricordare come la spesa per lo Stato sia insostenibile. L’idea dell’esecutivo è quella di stanziare 5 miliardi all’anno, ma lo stesso Boeri (Inps) ha sottolineato l’impraticabilità di questa manovra poiché la spesa sarebbe in realtà più alta, almeno dell’ordine dei 15 miliardi. Inoltre, Cesare Damiano (PD), si chiede quali categorie di lavoratori potrebbe penalizzare l’introduzione della Quota 100. Vediamo nel dettaglio.

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Pensioni 2018: Quota 100 con 36 anni di contributi?

Secondo il contratto di Governo, la Quota 100 che andrebbe a sostituire o a superare la legge Fornero, consisterebbe nella somma dei contributi versati con l’età anagrafica del soggeto. Gli anni di contributi minimi da versare sarebbero 36; questo significa che l’età minima per poter uscire dal mercato del lavoro con la Quota 100 è fissata a 64 anni. Inoltre, si sta pensando di cancellare l’Ape social in virtù della Quota 41 che, paletti permettendo, darebbe modo ai futuri pensionati di uscire dal mercato del lavoro con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica. Secondo Cesare Damiano del PD, però, queste categorie potrebbero esserne danneggiate:

  • Le donne
  • Coloro che hanno familiari disabili a carico
  • I lavoratori gravosi
  • I Disoccupati

Pensioni 2018, Cesare Damiano: “Quota 100 danneggerebbe alcune categorie di lavoratori”

Tra gli scettici e coloro che vogliono vederci chiaro, è presente anche l’esponente PD Cesare Damiano, da sempre concorde nel superamento della Legge Fornero, ma critico sul modo in cui l’attuale Governo vuole farlo. Come ha riferito Damiano: “Se fosse vero che parte da 64 anni di età – ha spiegato – questa scelta rappresenterebbe una penalizzazione per chi svolge attività gravose perché questi lavoratori possono andare in pensione a 63 anni con Quota 99 (63 più 36 di contributi). Non solo, per chi è disoccupato o ha un familiare disabile a carico, i contributi scendono a 30 anni (Quota 93). Per le donne, poi, c’è uno sconto ulteriore di un anno per ogni figlio (massimo 2 anni), che porta i contributi necessari a 28 anni (Quota 91). Inoltre, non bisogna dimenticare sempre per queste 15 categorie di lavoratori che svolgono attività gravose, c’è anche il blocco dell’aggancio dell’età della pensione all’aspettativa di vita. Eliminare l’Ape sociale sarebbe – ha concluso Damiano – molto dannoso per una vasta platea di lavoratori. Si tratterebbe, al contrario, di renderla strutturale”.

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